LA GRANDE GUERRA
LA GRANDE GUERRA
MARIO MONICELLI
Italia / 1959 / 129'
LA GRANDE GUERRA
MARIO MONICELLI
Italia / 1959 / 129'

Il piantone romano Oreste Jacovacci ha promesso al coscritto milanese Giovanni Busacca di farlo riformare dietro compenso; ma Giovanni è fatto abile e, ormai in divisa, cerca Oreste per dargli una lezione. Tuttavia quando si ritrovano, i due diventano amici e finiscono insieme a Tigliano, un piccolo paese nelle retrovie, dove attendono, di giorno in giorno, di essere mandati al fronte. Nel frattempo Giovanni, avendo incontrato Costantine, una ragazza di facili costumi, si concede qualche distrazione, ma alla fine si trova alleggerito del portafoglio. Giunge il giorno temuto: Giovanni ed Oreste sono mandati al fronte, dove fanno conoscenza di nuovi commilitoni: il tenente ex professore di ginnastica, il soldatino che spasima per Lyda Borelli, il cappellano Bonoglia. Viene il Natale, festeggiato alla meglio; passa l'inverno, si annuncia la primavera; riprendono più vivaci i combattimenti. Oreste e Giovanni, mentre sono di pattuglia, incontrano un soldato austriaco: potrebbero ucciderlo, ma non si sentono di farlo. Poi inizia la battaglia: morti e feriti, attacchi e contrattacchi. Oreste e Giovanni sono incaricati di portare un messaggio, ma mentre si dispongono al ritorno si trovano separati dal loro gruppo. Per ripararsi dal freddo indossano cappotti nemici: scoperti dagli austriaci, vengono considerati spie. Potrebbero salvarsi se consentissero a fornire informazioni sulla missione di cui erano incaricati. Dapprima i due esitano e sono quasi disposti a transigere con la coscienza ma di fronte all'arroganza dell'ufficiale che li interroga, Giovanni rifiuta di parlare e viene fucilato. Oreste segue il suo esempio e subisce la stessa sorte. Il loro sacrificio non è inutile: i loro compagni sono all'attacco e la vittoria non è lontana. il film è stato girato in Friuli, a Venzone, Sella Sant'Agnese (sopra Ospedaletto), Palmanova e Nespoledo di Lestizza. Nel 2004 sui luoghi delle riprese con il contributo della regione è stato girato un documentario dal titolo I sentieri della gloria che vede il regista e lo scenografo tornare negli stessi posti a 45 anni di distanza. Leone d'oro alla Mostra di Venezia 1959 ex-aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini. Nastro d'argento 1960 ad Alberto Sordi e allo scenografo Mario Garbuglia. David di Donatello 1960 a Vittorio Gassman e Alberto Sordi e al produttore Dino de Laurentiis.

Regista

MARIO MONICELLI

Mario Monicelli

Nasce a Viareggio, Lucca (Italia) il 15 maggio del 1915. Figlio del giornalista e drammaturgo Tommaso Monicelli, cresce a Viareggio, e nei primi anni '30 frequenta il liceo e l'università a Milano. Lì, sviluppa la sua passione per il cinema, condivisa insieme ai cugini Mondadori, con i quali inizia a scrivere sulla rivista "Camminare", che ha fra i suoi collaboratori anche altri futuri registi: Alberto Lattuada, Riccardo Freda e Renato Castellani. Nel 1934, con Alberto Mondadori, realizza un cortometraggio muto in 16 mm, Il cuore rivelatore, tratto dal racconto di Poe. L'anno successivo i due affrontano il lungometraggio, girando I ragazzi della via Paal, utilizzando come attori amici e parenti e vincendo a Venezia il premio per il miglior film a passo ridotto. Fa quindi da aiuto regista per Gustav Machaty, Genina, Camerini, Gentilomo, Bonnard, Mattoli, Germi e insieme a Steno dà vita a un felice sodalizio che li vede prima collaboratori al giornale satirico "Marc'Aurelio" e poi prolifici sceneggiatori. Proprio con Steno fa il suo vero esordio alla regia nel 1949 con Totò cerca casa e dopo otto film in coppia (fra cui Al diavolo la celebrità, Totò e i re di Roma e Guardie e ladri), prosegue da solo a partire da Proibito (1954) con Lea Massari. Comincia a delinearsi un autore "nazional-popolare", ma irrispettoso di ogni retorica, pessimista, feroce, demistificatore di sacralità e continuamente alla ricerca delle umane debolezze dei suoi personaggi, mettendone in evidenza anche i connotati cialtroneschi e il loro lato ridicolo. L'opera più riuscita e più godibile di questo periodo è senza dubbio I soliti ignoti (1958), che ha avuto oltretutto il merito di dare risalto ad un attore come Vittorio Gassman. Allo stesso modo film come La grande guerra (1959), con Vittorio Gassman e Alberto Sordi, e I compagni (1963), che ebbe una nomination agli Oscar per soggetto e sceneggiatura , trasportano sullo schermo pagine di storia e fatti di costume . Sono poi gli anni de L'armata Brancaleone (1966), che rivisita in chiave grottesca il Medioevo, senza dimenticare La ragazza con la pistola (1968), Amici miei (1975), Un borghese piccolo piccolo (1977), Speriamo che sia femmina (1986). Tra i riconoscimenti alla sua produzione vanno ricordate le quattro nomination all'Oscar come film straniero per I soliti ignoti, La grande guerra, La ragazza con la pistola e I nuovi mostri (1977) e le due per soggetto e sceneggiatura originali per I compagni e Casanova 70 (1965). Svariati i David di Donatello, miglior regia per Un borghese piccolo piccolo, Speriamo che sia femmina e per Il male oscuro (1990), Nastri d'Argento e due Leoni d'Oro, uno per miglior film con La grande guerra e l'altro alla carriera nel 1991. Anche regista teatrale, commediografo e regista televisivo, si è prestato, occasionalmente come attore in L'allegro marciapiede dei delitti (1979) e in Sono fotogenico (1980). Nel 1990, periodo di crisi del cinema italiano, riesce a rimanere a galla dirigendo Alessandro Haber, Cinzia Leone, Marina Confalone e Paolo Panelli nella commedia anti-familiare Parenti Serpenti (1992), poi passa a Villaggio, Troisi, Melato e Placido in Cari fottutissimi amici (1994), Facciamo Paradiso (1995) e Panni Sporchi (1999) e nel nuovo millennio si presenta al pubblico e alla critica, parlando della bestia nera che più di ogni altro l'ha ossessionato nella sua vita: la guerra. Il film Le rose del deserto (2006) che ancora una volta mette in luce una visione antieroica dell'esercito italiano. Sessant'anni di carriera, passati a osservare la realtà della società italiana con un occhio attento e disincantato, lasciando in tutti i film, l'impronta di uno stile personale e brillante, che ha saputo dimostrare di essere un punto fermo nella storia del cinema italiano.