Blind Husbands
Blind Husbands
Erich von Stroheim
Stati Uniti / 1919 / 68'
Blind Husbands
Erich von Stroheim
Stati Uniti / 1919 / 68'

Un cinico ufficiale austriaco cerca di sedurre la moglie trascurata di un chirurgo nordamericano distratto dalla passione per l'alpinismo. La coppia si trova in vacanza sulle Alpi austriache, non lontano dal confine italiano. La manovra è sorvegliata a distanza da una silenziosa guida alpina, simbolo di virtù cristalline. Convinto che l'ospite abbia sedotto sua moglie, nel drammatico epilogo l'uomo lo sfida in una scalata al Pinnacolo, dove provoca la morte del presunto rivale, scoprendo poi tardivamente la verità. Esordio nella regia di Erich von Stroheim, autore di soggetto e sceneggiatura dal suo racconto The Pinnacle. Tutti i motivi del suo cinema successivo sono già presenti, in forma allusiva e in modi divertenti, all'insegna di un umorismo beffardo. Il bersaglio preferito è proprio il tenente von Steuben, da lui interpretato. Il rapporto Servo - Padrone, uno dei suoi Leitmotiv, è già enunciato con perfida eleganza.
Il TrentoFilmfestival nel 1978 lo presenta come film di apertura della sua 26a edizione. Ambientato in una Cortina ancora austriaca, questo film può essere definito il primo mélo cinematografico ambientato in montagna, anzi, addirittura alpinistico. Un esasperato dramma dei monti a cui Stroheim conferisce un'atmosfera iperealistica quasi espressionista, accentuata dalla fotografia di Ben Reynolds. Per forza e drammaticità resta una delle opere più singolari del cinema americano del tempo.
Edizione digitale del 2008 sottotitolata in italiano a cura del Centro Audiovisivi Bolzano.

Edizione digitale del 2008 sottotitolata in italiano a cura del Centro Audiovisivi Bolzano.

Sottotitoli: Italiano

Regista

Erich von Stroheim

(Erich Oswald Stroheim, Vienna 22 Settembre 1885 – Maurepas, Francia 12 Maggio 1957)

Regista austriaco. Frequenta l'Accademia militare e diventa ufficiale di cavalleria, entrando a far parte per qualche tempo della guardia imperiale. Nel 1909 emigra negli Stati Uniti, dove per tre anni viene accettato in servizio anche nella cavalleria americana. Finita la ferma si dedica a varie attività, compresa quella di attore nel vaudeville. A partire dal 1914 appare in alcuni film, tra i quali Nascita di una nazione di D.W. Griffith. Questi lo chiama come interprete e come aiuto-regista anche per Intolerance (1916), e poi per Cuori del mondo (1918). Forte dell'esperienza con il famoso regista, riesce a convincere il produttore C. Laemmle a commissionargli la regia del suo primo lungometraggio, Mariti ciechi (noto anche come La legge della montagna, 1918), sulla base di un soggetto scritto in prima persona (che originariamente doveva chiamarsi The Pinnacle). Una storia che si sviluppa intorno a una presunta relazione tra la moglie di un medico americano e un ufficiale austriaco, tutti – medico, moglie e ufficiale – in vacanza a Cortina d'Ampezzo. L'epilogo, drammatico, si consuma durante un'ascensione, quando il medico minaccia il giovane ufficiale, e costui, per paura, confessa un adulterio in realtà mai avvenuto. L'opera prima reca già molti degli elementi e dei segni inequivocabili di tutto il suo cinema futuro. Il successo di Mariti ciechi permette al regista esordiente di dirigere numerosi altri lungometraggi The Devil's Passkey (Il grimaldello del diavolo, 1920), Femmine folli (1921), Donne viennesi (1922), Greed (Rapacità, 1924), La vedova allegra (1925). Visto come regista inquieto e oscuro dai critici e come «dissipatore» di capitali dalle produzioni, in realtà Stroheim risponde ad un suo innato bisogno, quasi maniacale, di ricostruire con minuzia il più insignificante particolare, di comprendere nel film tutta la completezza e aspetto. Tutti gli esorcismi e tutto il demonismo creati intorno alla sua figura alla fine confluiscono nell'odissea del suo ultimo film, Queen Kelly (La regina Kelly, 1928), come se il suo universo sadico e abietto, scaraventato contro un mondo borghese travestito nelle lugubri divise di una nobiltà in decomposizione, quel delirio mitteleuropeo, quell'allucinazione visionaria, quel «realismo» ossessivo e carico di simbolismi, fossero predestinati a precipitare nell'inconscio della storia del cinema. L'arrivo del sonoro segna la fine della sua carriera. Non dirigerà mai più un film, proseguendo la sua carriera solo come interprete, presente in un gran numero di opere, non tutte di alto rango, tra le quali tuttavia vanno ricordati almeno due capolavori: La grande illusione (1937) di J. Renoir, e Viale del tramonto (1950), dove si ritrova in una sorta di nemesi struggente e crudele messa in scena da Billy Wilder.