"Dalla fine della guerra del ‘18 un uomo continua a cercare i resti del padre disperso in una zona imprecisata delle Dolomiti, tra le Tofane e le tre Cime di Lavaredo. Lo spinge il giuramento fatto alla madre in punto di morte: porterà a casa le ossa del padre. Ormai è chiaramente una fissazione, ma una patetica fissazione. Dopo aver avvicinato questo inconsueto personaggio, lo lasciamo di nuovo alla sua ricerca, alle sue montagne, ai suoi ricordi" (da visto di censura n. 55259 del 14 gennaio 1970).
Regista
GIUSEPPE TAFFAREL
Giuseppe Taffarel nasce a Vittorio Veneto (Tv) il 1 marzo 1922, dove muore il 9 aprile 2012, poco dopo aver festeggiato i novant’anni. Fin da piccolo manifesta un’innata passione per il teatro. Si forma come autodidatta e legge con predilezione le opere teatrali. All’età di 19 anni arriva a Roma dove frequenta l’Accademia d’Arte Drammatica diretta da Silvio D’Amico. Nel 1943 si arruola nella resistenza partigiana combattuta sulle Prealpi bellunesi-trevigiane. Si distingue per il coraggio in numerose azioni di guerra. Nel 1946 torna a Roma, nel periodo d’oro neorealista frequentando il mondo del cinema che si ritrova alla trattoria dei Fratelli Menghi e al bar Rosati. Nella capitale mentre partecipa alla scrittura di numerose sceneggiature, intraprende la carriera di attore cinematografico che lo vede recitare in circa una ventina di film tra cui Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani (1951) con Gina Lollobrigida e Giuliano Montaldo. Alla fine degli anni Quaranta collabora con Glauco Pellegrini e Rodolfo Sonego alla realizzazione di alcuni documentari (i più noti Parliamo del naso, Lezioni di anatomia e L’esperienza del cubismo) ed è aiuto regia in Ceramiche Umbre di Glauco Pellegrini (1949), il primo documentario sperimentale a colori della Ferraniacolor prodotto dalla Lux Film. Nel 1960 – dopo aver teorizzato sulla nascita del “nuovo cinema documentario” con Michelangelo Antonioni e l’amico coetaneo Vittorio De Seta – dirige il suo primo film La croce girato a Vittorio Veneto e dintorni. Da allora fino all’inizio degli anni Ottanta, realizza oltre trecento documentari di tematiche e generi diversi: dalla paleontologia alla storia contemporanea, dalle scienze naturali ai costumi italiani fino alla rappresentazione di città e di paesaggi dove la storia dell’arte e l’antropologia sono sempre messe in risalto. In tutte le opere di Taffarel lo sguardo antropologico/etnografico confluisce nell’estetica dell’immagine, culminando in momenti di assoluta liricità e rara poetica audiovisiva. La capacità dell’autore veneto di osservare la vita, afferrando i fili che collegano la piccola storia dell’uomo comune alla grande storia dell’umanità, è riconoscibile in una ventina di cortometraggi di stile neorealista. Questi documentari possono essere considerati delle piccole perle nella storia del cinema, come i da poco restaurati e digitalizzati Fazzoletti di terra (1962), L’alpino della Settima (1969) e Via Crucis (1972).
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