“Becoming who I was”, un viaggio alla ricerca della propria identità
Pubblicata il 07/05/2017
di Sofia Folghereiter e Sara Fedel
Il film Becoming who I was, dei registi sudcoreani Chong-Jong Moon e Jin Jeon, è stato proiettato per la seconda volta nel pomeriggio di venerdì 5 maggio.
Il lungometraggio segue la vicenda del piccolo Angdu, considerato un Rinpoche, cioè la reincarnazione di un importante monaco. Rinato però nella regione di Ladahk, nell’India settentrionale, sente presto il forte bisogno di fare ritorno nel lontano Tibet, più precisamente nella regione di Kham, dove aveva vissuto durante la sua vita precedente. Dopo aver trascorso felicemente la sua infanzia, cresciuto amorevolmente dal monaco e lama (maestro) che lui chiama “Zio” e lontano dagli sfarzi e dagli onori solitamente riservati ai Rinpoche, il desiderio di ricongiungersi ai suoi seguaci in Tibet, lo porta ad intraprendere un lungo viaggio assieme a suo Zio, attraversando tutta l’India, fino ai confini tibetani.
Fin da subito, si pone l’attenzione sulle principali tematiche affrontate all’interno del film. I rapporti umani, di amicizia e familiari, sono i protagonisti di un gran numero di scene, durante le quali la narrazione si ferma, favorendo la dimensione emotiva ed affettiva dei personaggi e mostrandone la complessità dei rapporti. Momenti di grande gioia, come i giochi tra Angdu e lo zio o le discese in slitta con gli amici, si alternano a momenti di forte commozione, come il saluto alla madre e allo zio, creando uno straordinario turbinio di emozioni contrastanti nello spettatore. Alla dimensione emozionale, si aggiunge il significato morale del viaggio, intrapreso come un momento di riflessione, una maturazione personale che lascerà a Ladahk un bambino e porterà in Tibet un ragazzo. Questa maturazione avviene lentamente fin dalle prime scene del film, dove viene rappresentata la vita quotidiana del giovane protagonista che, sotto l’occhio premuroso e attento dello zio, affronta le piccole difficoltà della vita, come il superamento di un esame scolastico o la cura della casa per qualche giorno. Ed è proprio lo zio a guidarlo, attraverso consigli ed insegnamenti, aiutandolo a riconoscere il valore delle cose più importanti, come per esempio lo studio, dicendogli che “con lo studio, potrai fare ogni cosa”.
Sicuramente, il tutto viene risaltato da straordinarie inquadrature e da leggere musiche di sottofondo, studiate nei momenti giusti per valorizzarne al meglio le scene, riuscendo a mascherare la presenza di alcune battute non sottotitolate.
In conclusione, il film riesce ad inglobare lo spettatore in un mondo così lontano ed esotico da sembrare a tratti surreali, pur sempre mantenendo le caratteristiche documentaristiche che ne confermano la veridicità.
Il viaggio di Angdu sembra non solo limitato all’itinerario geografico, ma anche ad un percorso emotivo che lo porterà ben più lontano del confine tibetano e che farà di lui il grande Rinpoche che lo zio lo esorta a diventare.