Destinazioni FuoriRotta, concerti ad alta quota e il coraggio del soccorso alpino
Pubblicata il 07/05/2017
di Christian Malacarne e Niccolò Giovannini
“La parte più importante della nostra esperienza non è la meta, bensì in viaggio”; questa frase di uno dei ragazzi di FuoriRotta riesce forse ad accomunare nel modo più appropriato i contenuti affrontati da due delle attività che hanno preso luogo oggi, 4 maggio, a Trento. La prima è appunto quella gestita dallo staff di FuoriRotta. Questo progetto permette a decine di giovani “under 30” di intraprendere viaggi in tutto il mondo seguendo rotte non convenzionali e trarre da essi spunti per progetti di vario genere, da diari di viaggio a documentari. Stamane è stato preso in esame in particolar modo “Ragnatele”, uno studio effettuato da quattro studenti universitari che hanno esaminato il fenomeno dello spopolamento della catena degli Appennini. L’approccio nella raccolta delle informazioni di questo gruppo ha spinto ciascun membro ad una completa immersione nel territorio: “Percorrere i sentieri solamente a piedi e provare quindi molta fatica ci ha permesso di entrare nell’ottica delle società montane che volevamo prendere in esame e di effettuare una completa immersione nel radicamento territoriale tipico di queste zone.”, queste le parole di uno dei ragazzi. Le testimonianze raccolte in un mese di viaggio hanno permesso loro di sviluppare un documentario di cui ci è stato offerto un assaggio tramite un breve promo. Questo scorcio del progetto permette di già constatare la qualità del lavoro svolto fino ad ora e l’importanza del servizio offerto da FuoriRotta. È inoltre possibile finanziare questo genere di progetti tramite il sito www.fuorirotta.org.
La seconda invece è “Project rockin’ high”, un lungometraggio proiettato alle 21.00 presso il cinema Modena di Trento in anteprima internazionale, ad opera della regista finlandese Matleena Saarensalmi-hintikka. Durante l’intervista tenutasi a mezzogiorno a Palazzo Lodron, Matleena ha affermato che in un primo momento non riteneva fosse una buona idea sostenere questo strampalato progetto, ma, poco dopo, in seguito ad un ripensamento ha deciso di sfruttare le circostanze per perseguire il suo sogno: quello di realizzare un documentario; ” Se queste persone hanno un sogno e riescono a realizzarlo anche io posso riuscirci”
“Salve, noi siamo gli AncarA e quest’autunno trascorreremo 18 giorni in Nepal per esibirci nel concerto rock più alto di sempre sul monte Everest”. Questo è l’esordio di “Project rockin’ high”, un esordio che fa presagire un’atmosfera di positività nei primi minuti del film, mettendo in luce le speranze, le ambizioni e i sogni di questi folli amici. Tuttavia questo stato idilliaco è ben presto turbato da episodi negativi che minano all’integrità del progetto: le spese elevate creano tensioni tra i membri della band e nessuno, né producer né sponsor, è disposto a finanziare questo progetto. La regista non si sofferma molto sugli esiti della missione, infatti questa sezione occupa solamente i pochi minuti precedenti ai titoli di coda; la sua scelta è ricaduta invece sul viaggio della band e dei singoli musicisti. Il documentario narra della loro determinazione e dei loro sogni, di come hanno reagito alle avversità, di come, nonostante tutto ciò che li trascinava nell’oblio della resa, siano riusciti, a discapito di ogni aspettativa, ad esibirsi dove nessuno aveva mai osato: sull’Everst, sul tetto del mondo.
In questo viaggio immaginario fra film, cambiando radicalmente scenario e argomento, in programma nella giornata del 4 maggio 2017, il Trento Film Festival ha proposto al cinema Modena “senza possibilità di errore – il corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico”.
In questi giorni è stato trattato e approfondito il legame fra l’uomo e la natura, la voglia di scoprire quest’ultima, il percorso che porta semplici guide europee di montagna ad essere circondate dagli immensi massicci dell’Himalaya, o ancora la preparazione che porta un uomo in cima ad una falesia non considerata scalabile; nella mattinata di martedì 2 maggio, il presidente Da Rita ha esposto in maniera chiara ed esaustiva la posizione della montagna nella mentalità, nella psicologia, nell’economia e nella politica italiana e il relativo cambiamento in questi ultimi cinquant’anni.
In tutti questi incontri però, il tema della sicurezza non è mai stato approfondito, ma solamente accennato, posto come una possibile variabile di un piano: Matthias Mayr, uno dei due protagonisti dell’impresa nata con lo scopo di sciare sulle “montagne maledette” in Siberia, ha sottolineato che si era preparato assieme al compagno d’avventura a ogni possibile imprevisto, ma fortunatamente non ha avuto bisogno di mettere in pratica queste sue conoscenze.
Se invece fosse andato storto qualcosa, come si sarebbe comportato? Sarebbe riuscito a far andare tutto per il verso giusto? Come agirebbe un esperto?
Mario Barberi, il regista del film-documentario, ha voluto portare questa spettacolare testimonianza, mostrando la straordinaria preparazione dei volontari e professionisti del corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico: attraverso una tanto dettagliata quanto emozionante descrizione, il pubblico è riuscito ad immedesimarsi nei protagonisti delle vicende narrate.
Partendo dalle procedure base (la chiamata del soccorso), il regista ha descritto in maniera accurata tutti i passaggi del protocollo di soccorso, mettendo in luce la tranquillità e la precisione del soccorso: nonostante fossero delle esercitazioni, Barberi ha dichiarato che “molto spesso durante le esercitazioni i membri del soccorso sono molto più agitati rispetto ad una vera emergenza: le considerano come delle situazioni di pericolo, che vengono sfruttate per testare le proprie abilità e sperimentare nuove attrezzature, che potrebbero salvare la vita ad una sventurata vittima”.
In questo lungometraggio la tecnologia è di primaria importanza: lo sfortunato viene ritrovato grazie ad un modello tridimensionale del suolo, le spedizioni vengono coordinate attraverso il centro radio e i dati vengono gestiti attraverso particolari tecnologie ancora in vie di sviluppo.
Non bisogna dimenticare che sul territorio la cinofilia gioca un ruolo essenziale per ridurre al minimo i tempi di recupero: la presenza di un cane molecolare ben addestrato (ovvero un animale che riesce a seguire una scia di odori precisi) sul luogo dell’incidente fa la differenza fra la vita e la morte nell’assoluta maggioranza dei casi.
Barberi è riuscito a concentrare in questa pellicola le emozioni che i volontari mettono nel loro lavoro, i desideri e le incertezze, la determinazione e la precisione, la paura di non farcela e la gioia nel successo. Nonostante fossero esercitazioni, era evidente la tensione dei volontari nel compiere certi passaggi particolarmente delicati: questa tensione però non influivi in alcun modo sulla professionalità degli uomini impegnati in tali situazioni.
Dopo aver descritto brevemente la storia e l’evoluzione del soccorso alpino, il regista ha optato per l’inserzione di rilevamenti affascinanti.
Dopo aver ricordato che il soccorso alpino italiano è invidiato e copiato in tutto il mondo, il direttore delle riprese, presente in sala dopo la proiezione del film-documentario, ha riportato una frase detta da un vericellista prima di recuperare uno scalatore particolarmente grave: “siamo degli uomini anche noi e anche noi abbiamo le nostre paure: tutte le volte che guardo il cordino metallico del verricello prima di essere calato, provo la stessa sensazione della prima volta. Incertezza, paura. Siamo uomini che hanno paura come tutti, non siamo degli eroi, facciamo solo il nostro dovere.”
Il documentario è stato dedicato a tutti i membri morti per permettere a qualcun altro di continuare a vivere.