VERGOT

Pubblicata il 04/05/2017

FedericoZuanni_TFF_091bdi Ludovica Salvatori e Sara Fedel

 

Vergot, un film della giovane regista Cecilia Bozza Wolf, racconta la storia di Gim, un ragazzo diciannovenne che scopre di essere omosessuale. La sua famiglia, e in particolar modo suo padre, cresciuto nella tradizione e nel moralismo della valle, non sembrano accettare questa sua “scelta”. Questo lungometraggio riprende quindi un periodo della vita degli attori, che si ritrovano a interpretare se stessi, con il coraggio di essere sinceri davanti alla telecamera, anche quando la propria posizione non è delle più onorevoli. È questo il caso del padre del ragazzo, soprannominato “il lupo”, che confessa al figlio maggiore, Alex, quanto lo ripugni l’idea di avere un figlio omosessuale. Lo stesso Alex è combattuto tra due comportamenti: vuole incoraggiare Gim a non autocommiserarsi e a non scappare dai problemi, ma allo stesso tempo è anche vicino al pensiero del padre, perciò i suoi consigli al fratello risultano a volte contradditori. Un personaggio estremamente complesso, dunque, e la stessa regista ha ammesso che le sarebbe piaciuto dare più spazio ai suoi monologhi, la maggior parte dei quali durante il montaggio finale è stata tagliata. Queste scene sono molto importanti per capire quanto sia complicato il pensiero di Alex, e quanto l’essere il fratello maggiore, e quindi un punto di riferimento per Gim, a volte rappresenti un peso. Afferma infatti che lui non può mostrarsi debole, perché gli tocca la parte di quello che salva, non che viene salvato. Figure marginali e quasi inesistenti sono invece la madre e la sorella, sulle quali la regista ha deciso di non concentrarsi più di tanto, per rispetto nei loro confronti, data la loro riservatezza. Questa scelta risulta però azzeccata per il film, in quanto permette allo spettatore di concentrarsi sui personaggi maschili, dato che, come ha affermato la stessa regista “È una faccenda tra loro tre”. In conclusione, si tratta di un film molto impegnativo, certo, ma nonostante la non fissità della telecamera, che soprattutto nelle scene in cui vengono seguiti i passi dei personaggi tende a sobbalzare, è molto godibile e dall’importante insegnamento. È stato inoltre molto interessante il momento di confronto tra la regista e lo stesso Gim, che dopo la proiezione del film hanno risposto ad alcune domande. Tra le molte, è stato chiesto al ragazzo che effetto faccia rivivere un periodo della propria vita così complicato, e che solitamente si preferirebbe dimenticare. Lui ha risposto che in effetti all’inizio fa male, ed è quasi peggio di come è stato viverlo per la prima volta, ma ha poi aggiunto che per fortuna ormai si tratta di acqua passata, e che potrebbe addirittura farci sopra una risata.