DISAMISTADE
DISAMISTADE
GIANFRANCO CABIDDU
Italia / 1989 / 96'
DISAMISTADE
GIANFRANCO CABIDDU
Italia / 1989 / 96'

Disamistade è un film sul senso del ritorno alle radici come riflessione sul vissuto e sulla storia. In un periodo, come questi anni '80, dove è presente uno smarrimento, una reala difficoltà del "sentire comune", del condivisibile, mi attirava una storia che pur non avendo nulla di
autobiografico o di simile alla mia vita, fosse qualcosa di vicino e di importante da raccontare agli spettatori e a me stesso. Un bisogno di riflettere sulle mie radici, un trovare la strada di una lunga catena che mi definisce nonostante la mia lontananza dalle esperienze descritte nel film; nella convinzione che una cultura non la si estirpa nè la si trapianta, la si può al massimo innestare pazientemente... Costringendomi a ritornare da sardo in una Sardegna d'oggi, con tutti i cambiamenti che ci sono stati, mi ha aiutato a capire che cosa è successo nel frattempo, per fare i conti con un passato che si sgretola e con un futuro che sta nascendo. Da sardo che ripensa alla sua terra, che la riscopre (magari con le interferenze della lontananza) ho cercato di non fermarmi ad osservare la barbarie e appagarmene, compiaciuto di una descrizione magari fedele, ma ho cercato di mettere al centro della storia un uomo con un suo conflitto interiore.

Gianfranco Cabiddu

E' esistito in Sardegna un gioco dell'odio e della morte le cui regole ferree erano fissate da sempre e amministravano la vita. "Disamistade" è una partita di questo gioco millenario, fotografata nel momento in cui le regole del gioco stanno cambiando, ed il gioco non funziona più. Sono gli anni '50: Sebastiano Catte figlio di un pastore, ma ha studiato. La madre, alle cui orecchie sono giunti i segni confusi di un nuovo ordine delle cose, l'ha spinto allo studio. Ma la sua volontà di cambiare il gioco è solo apparente: non più con la minaccia delle armi, ma con i libri il figlio dovrà dimostrare, tornando, la sua "Balentia", e sottomettere gli altri. Nel frattempo a Funtanedda, piccolo villaggio del centro della Sardegna, la vita continua a funzionare nel modo usato: il padre di Sebastiano, un uomo di quell'altra civiltà cade sotto le fucilate. Sebastiano ritorna, ed affronta il compito millenario della vendetta: la madre e i parenti (che si rivelano appunto ferrei custodi del vecchio gioco), gli amici, i sorrisi sarcastici dei rivali, tutto intorno a lui indica l'unica strada ammessa, e condanna gli indugi. Più forte che mai, all’inizio del suo tramonto, la vecchia cultura si richiude attorno a lui. Sebastiano sceglierla strada dell'esilio della lontananza. Ma mai abbastanza lontano dai suoi doveri di unico uomo della sua famiglia. Sarà così costretto a ritornare al suo paese per rimediare alla catastrofe economica. E quando viene derubato del suo gregge, unica fonte di sostentamento, si prospetta davanti a lui il solo ripiego possibile, l'unico conosciuto e praticato.
Primo passo è la "Bardana" (spedizione per furto di bestiame), base per la costruzione di un patrimonio, di un gregge proprio, e insieme prova di coraggio e "balentia". Sebastiano, meticolosamente, esegui e supera la prova: non è un vigliacco, farà strada, la vendetta verrà. Ma c'è qualcosa di estraneo nel suo coraggio, un silenzio, una nota cupa, una frattura: Barore, capo riconosciuto della banda, la scorge, e non dimenticherà più. Il gioco fa il suo corso: altre "bardane", bravate nelle feste, il primo morto: Barore e Sebastiano, inesorabilmente sono rivali. Poi qualcuno rapina una corriere di linea: quest'atto è nuovo, prende a bersaglio una struttura dello Stato, rompe il patto tacito con i carabinieri; Barore rompe a sua volta le regole, in una spiata consegna Sebastiano alla giustizia.
Da quel momento la strada è segnata: arresti, prigione, ritorno al paese, e guerra. La catena dei fatti ha una sua mortale semplicità, agguato su agguato, morto per morto. I motivi, lo scontro delle forze reali, sono invece definitivamente confusi, il gioco scappa di mano a tutti. Sebastiano è diverso, non sa più colpire con la mano dei padri, ma non può ancora smettere di colpire. Questa doppia natura e identità genera la paura folle di Barore di fronte ad un nemico che non riesce più a decifrare: scampato ad un primo agguato, nell'attesa della fucilata definitiva, quasi perde la ragione. Genera l'amore di Domenicangela che scorge in lui i semi confusi di un'altra e più umana "Balentia". Genera infine la doppia e ambigua conclusione: secondo la legge antica, Barore muore sparato in bocca da qualcuno; secondo una prassi nuova forse la madre incasserà la taglia per la cattura di Sebastiano consegnato alla giustizia, all'alba della sua prima notte d'amore. Mentre si scatenano intorno a lui le polemiche sulle radici sociali del bandismo, Sebastiano, al processo, ricusa il difensore e parla solo per ribadire laconicamente la sua innocenza.

Regista

GIANFRANCO CABIDDU

Il regista. Gianfranco Cabiddu è nato a Cagliari nel 1958, si forma come musicista nella stessa città tra gli studi di musica classica e i gruppi di jazz dei primi anni '70. Lascia la Sardegna nel 1975 per trasferirsi a Bologna e iscriversi al Dams. A Bologna contemporaneamente allo studio lavora in gruppi musicali e teatrali. Dalla musica passa alla etnomusicologia e quindi allo studio antropologico del teatro: teatro orientale, teatro danza Kathakali e Balinese. Nei viaggi di studio in Oriente comincia ad occuparsi delle documentazioni filmate. Il passo successivo è dal teatro studiato al teatro filmato. Cura la documentazione filmata delle iniziative del Centro Teatro Ateneo in collaborazione con la R.A.I.: Vittorio Gassman, Carmelo Bene, Dario Fo, Maria Graham, Jerzy Grotowski, Peter Brook e Eduardo De Filippo. Con l'arrivo e la lunga sosta di Eduardo al Teatro Ateneo nasce insieme all'amicizia per il grande maestro una collaborazione stabile. Per 4 anni filma e registra giornate di lavoro, prove e lezioni di spettacolo fino alla registrazione de "La tempesta" ultima interpretazione di Eduardo. Dal teatro filmato passa al cinema e affronta il set come tecnico del suono e come regista di documentari. Infine il suo primo film "Disamistade" che lo ricollega alle radici della sua formazione. Film girato in Sardegna, film di finzione, drammatico ma di grande impegno storico e antropologico.