Nécessité de Moullet: omaggio a Luc Moullet, cineasta e montagnard

Pubblicata il 02/03/2022

A sessant’anni dalla sua visita a Trento e da uno storico articolo sui Cahiers du cinéma, il Trento Film Festival omaggia il regista francese, che sarà presente al Festival dal 3 al 6 maggio per incontrare il pubblico e presentare i suoi film.


Gli anniversari “tondi” come questa 70. edizione del Trento Film Festival sono occasioni per guardare al passato di una manifestazione, che però dopo tanti anni e celebrazioni può avere ancora pochi segreti da svelare. Nella storia del Festival invece c’è un momento di cui stranamente non è restata traccia nelle pubblicazioni e nelle cronache, ed è la clamorosa uscita dell’articolo “Nécessité de Trento” sui Cahiers du cinéma, la più influente rivista di cinema di tutti i tempi: l’articolo uscì nel marzo 1964, ovvero nel mitico periodo “giallo” della testata, quando vi scrivevano e si formavano in redazione grandi registi come Truffaut, Rivette, Godard, Chabrol e Rohmer. Si tratta di una brillante riflessione di ben dodici pagine su cinema e montagna a partire dal programma della 13. edizione del Festival, ad opera di un giovane critico, cineasta alle prime armi e appassionato di montagna e alpinismo: Luc Moullet.

Nato nel 1937, Luc Moullet è entrato nei Cahiers du cinéma a 18 anni, e ha diretto i suoi primi lavori nel 1960, alternando fin dall’inizio con disinvoltura corti e lungometraggi. Da allora ha realizzato in tutto trentotto film, giocando spesso con i canoni della narrazione tradizionale, di ogni formato e genere: commedia, avventura, western, film erotico, diario, road movie, documentario, film poliziesco… Tutti sono legati dal gusto per il comico – Moullet viene spesso presentato come l’unico cineasta burlesco della Nouvelle Vague – e da una passione ossessiva per la montagna: originario delle Alpi del Sud, ha seguito saggiamente il consiglio di Ernst Lubitsch («Quando saprete filmare le montagne, saprete filmare anche gli attori»). Buona parte dei suoi film sono ambientati tra vette e vallate, e diversi hanno per protagonisti escursionisti e scalatori.

La pagina iniziale di “Nécessité de Trento” si apre così: «Il Festival di Trento è l’unico, tra i tanti, in cui forma e sostanza, contenitore e contenuto coincidono, qualcosa a cui Cortina e Valladolid possono soltanto ambire. Cosa c’è in Mannheim, in Barcellona, in Bordighera o in Annecy che corrisponda all’essenza del documentario, del colore, dell’umorismo o dell’animazione? I festival che si fanno lì potrebbero tranquillamente svolgersi a Gelsenkirchen, a Bari, a Caceres o a Mariaud». E culmina in una rivendicazione dello spazio per il cinema di montagna sulle pagine di una rivista come i Cahiers, che nacquero nel 1951, solo un anno prima del festival: «La montagna – e quindi, anzi, e in teoria, il cinema di montagna – è parte integrante e necessaria della vita – e quindi del cinema. Il cinema di montagna non è una specialità per iniziati, e non si può farne a meno, come del cinema di animazione. È un dato di fatto e una necessità estetica. Che qui lo si sia dimenticato per tredici anni ora mi autorizza, mi obbliga a occuparmene».

Moullet tornò al festival di Trento anche l’anno successivo, scrivendo per i Cahiers numero 160 del novembre 1964 un resoconto tassonomico della 14. edizione (che si conclude con un apprezzamento per la qualità del latte trentino), e tra le Dolomiti avrebbero dovuto riportarlo i progetti di due film purtroppo mai realizzati: Vortex da girare sulle Bocchette Alte nelle Dolomiti di Brenta, e Gusela ispirato dalla Gusela del Vescovà, simbolo delle Prealpi e Dolomiti Bellunesi.

Il programma speciale Nécessité de Moullet – Omaggio a Luc Moullet, cineasta e montagnard rende dunque un dovuto tributo e ringraziamento, a distanza di quasi sessant’anni, non solo a uno dei cineasti più “montanari” della storia del cinema, ma anche alla persona cui il Festival deve quello che è probabilmente il più rilevante e intelligente racconto della manifestazione mai letto sulla stampa internazionale.

Verranno presentati, oltre ad alcuni corti, 4 dei suoi lungometraggi “alpini”: dal primo periodo della sua carriera Les contrebandières (1966), sulla competizione amorosa a cavallo della frontiera tra due contrabbandiere, che scoprono di avere lo stesso amante, e lo stupefacente Une aventure de Billy le Kid (1971), uno dei suoi film più noti, surreale western psichedelico con uno straordinario Jean-Pierre Léaud nel ruolo del leggendario bandito americano; mentre più recenti sono Les naufragés de la D17 (2002), su un gruppo di eccentrici personaggi che si incrociano nella regione montuosa più desolata di Francia, e il documentario sui generis La terre de la folie (2009), in cui Moullet indaga a modo suo sull’incidenza fuori dal comune di psicosi e disturbi mentali nella sua regione natale.

Nel 2021 la Cinémathèque française di Parigi ha dedicato a Moullet una retrospettiva integrale senza precedenti, ed è uscita in Francia la sua autobiografia “Mémoires d’une savonnette indocile”, dove si presenta così: «Grazie a Truffaut sono sessantacinque anni che scrivo di cinema e, incoraggiato da Godard, ho realizzato durante cinquantaquattro anni film divertenti su argomenti seri, marxismo e taylorismo, vagine e clitoridi. Ho lavorato in tutti i generi cinematografici. Ciò che rimarrà di me è una frase: “La morale è una questione di movimenti di macchina”’. Vengo collocato tra Brecht e Courteline, tra Buñuel e Tati. Sono un anticonformista originario di una città prealpina, un maratoneta capace di salire in bicicletta fino a 5.390 metri, ma che non sa sciare, ballare, nuotare o guidare».

Luc Moullet tornerà a Trento dal 3 al 6 maggio per incontrare il pubblico del festival e presentare i suoi film. L’omaggio è sostenuto da Institut français Italia ed è a cura di Sergio Fant, responsabile del programma cinematografico del Trento Film Festival.