Salvare gli ecosistemi d’alta quota: missione (im)possibile?

Pubblicata il 02/05/2019

Quanto è negativo l’impatto del cambiamento climatico sull’ambiente montano? Ci sono soluzioni a questa emergenza ambientale? Alle 10.30, all’incontro del Caffè Scientifico curato dalla Fondazione Edmund Mach, sono state fornite valide risposte a queste domande


«Quando andiamo in montagna abbiamo la fortuna di vedere paesaggi che sembrano incontaminati. Questo accade perché sono ambienti distanti dalle città e dai centri industriali, ma comunque ci sono moltissimi fattori che costantemente li minacciano». Queste le parole di Monica Tolotti, ricercatrice idrobiologa della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. Preoccupata dalle minacce del cambiamento climatico sul territorio montano, anche Maria Cristina Bruno, ricercatrice FEM: «Ci sono diversi elementi che mettono in pericolo queste aree: l’innevamento artificiale, che necessita del prelievo di acqua da torrenti e laghi, le dighe in alta quota e lo sfruttamento idroelettrico. Tutto ciò modifica l’aspetto idrologico e di conseguenza rovina la comunità biologica». Questi, purtroppo, non sono gli unici responsabili dello scioglimento dei ghiacciai e della distruzione dell’habitat montano: la contaminazione atmosferica, dovuta ai pesticidi, ai fumi di scarico e ad altri fattori, favorisce la deposizione di materiali inquinanti anche in alta quota.

Tra le conseguenze più gravi di tutto ciò, ci sono il ritiro dei ghiacciai e la nascita di “laghi nuovi”. Questi ultimi sono ecosistemi molto recenti, perciò ambienti ignoti, di cui scarseggiano informazioni e su cui bisognerà condurre studi specifici. Un altro effetto disastroso è quello che colpisce gli organismi che nei corsi d’acqua montani ci vivono. I loro cicli vitali sono compromessi, sia a causa della variazione di portata del bacino, che aumenta e diminuisce quando la centrale idroelettrica viene aperta o chiusa, sia a causa della variazione delle componenti chimiche presenti nell’acqua. Infatti, in questi ultimi anni, si sono molto diffusi i cosiddetti “rock glaciers”: «Secondo i primi studi condotti circa dieci anni fa – ha affermato Monica Tolotti – si riteneva che nell’arco alpino ce ne fossero 5000, ma ora, studi recenti ne contano più di 3000 nel solo Alto Adige». I rock glaciers sono generati da ghiacciai vecchi che stanno scomparendo, e che quindi si ricoprono di detriti, diventando una massa di materiale minerale cementato dall’acqua. Questi ghiacciai, quindi, accumulano sassi e residui, i quali poi rilasceranno nell’acqua particelle minerali. Dal punto di vista chimico i rock glaciers contengono metalli più pesanti rispetto ai ghiacciai “tradizionali”. Questo influisce negativamente sulla qualità dell’acqua dei laghi che sono alimentati direttamente dal flusso proveniente dal ghiacciaio.

Salvare i nostri ghiacciai, e di conseguenza i laghi, i torrenti alpini e l’intero ecosistema acquatico, è possibile. Basterebbe attuare scelte di vita ecocompatibili, ricorrere a una diversa costruzione di impianti idroelettrici, diminuire lo sfruttamento delle risorse idriche. Basta solo volerlo.

Testo di Karin Piffer

Foto di Stefano Vanucci